Nell’occasione ci si è deliziati con l’assaggio di alcune
ricette di epoca romana: la caseata, i globi e i crostini con ricotta, timo e
maggiorana.
Attraverso la storia delle
ricette e dei ricettari dal 1500 ad oggi, viene anche trattata la caseata, un
piatto energetico di formaggio, miele e spezie con una sfoglia a strati, una
sorta di pasticcio della cucina di epoca romana e non solo…
Questo piatto dolce a base di
formaggio era già conosciuto presso i greci con il nome di placentam ovvero torta. Il nome passa alla cultura romana dove
designa anche l’organo temporaneo deputato agli scambi metabolici tra la madre
e il feto presente nell’utero, per la sua forma generica e rotonda nell’essere
umano.
Il primo riferimento letterario,
secondo Callimaco, è da attribuirsi ad Aegimius, autore di un testo sull’arte
di fare torte di formaggio. Catone il censore nel De Agri Cultura cita la placenta, un dolce realizzato con due
dischi di pasta condita con formaggio e miele e aromatizzata con foglie di
alloro.
Questo dolce è certamente
l’antenato della moderna torta di formaggio della cultura anglosassone: il
cheesecake. Nella cucina dell’antica Roma infatti si preparava una torta
ripiena di miele e ricotta, come testimonia lo stesso Catone. Alcune ricette
richiedevano foglie di alloro che potrebbe essere stato usato come conservante.
Nel tempo il termine placenta è
stato relegato alla biologia, mentre la torta con il formaggio è stata
ribattezzata caseata, dal termine
latino caseum con cui veniva indicato
il formaggio.
Tipica della Gran Bretagna, la
torta di formaggio può essere generalmente classificata in due tipi principali:
cotta e cruda. Ne esistono diverse varianti, realizzate nelle differenti
nazioni in cui la torta è diffusa. Il Käsekuchen è un cheesecake tedesco con
aggiunta di formaggio quark, mentre quello greco comporta l’utilizzo di
formaggio mizithra e si chiama tiropita. Principalmente miscela strati di burro
con una crema di formaggio. In altre varianti si utilizza invece la pasta
sfoglia.
I cheesecake italiani sono
solitamente guarniti con: ricotta o mascarpone, zucchero, vaniglia e, talvolta,
orzo in fiocchi e frutta candita.
Lo sfogghiu, o sfoglio, una specialità di Polizzi Generosa,
in provincia di Palermo, viene realizzato con pasta frolla ripiena di tuma,
zucchero, cioccolata e cannella.
Simili sono anche le cassatine di Pasqua che si preparano nell’altipiano ibleo dove la tuma, il formaggio (non
ancora stagionato) che affiora dalla cagliata, viene sostituito con la ricotta.
Le cassatelle di Agira, invece hanno in comune la tipologia dell’impasto e la
cottura in forno, mentre la farcia si discosta in quanto è formata da un impasto
di cacao, mandorle tritate, farina di ceci, zucchero e scorza di limone
essiccata, con eventuale aggiunta di cannella.
Anche la cassata siciliana si può
considerare una sorta di cheesecake italiano essendo ripiena prevalentemente di
ricotta di pecora.
Si dice che la torta attuale (pan
di spagna, ricotta, pasta reale, zuccata e frutta candita) sia nata come tutte
le cose licche (leccornie), nei conventi per
poter essere consumata nel periodo di Pasqua. C’è da dire che molte delle
ricette siciliane più elaborate sono giunte a noi attraverso conventi e
monasteri, dove sono state conservate e preparate per i ceti più abbienti,
contribuendo al sostentamento e all’economia degli stessi.
Una leggenda racconta che sia
stata inventata dagli arabi. Un bel giorno un pastore arabo stava mescolando
all’interno di un contenitore rotondo, del formaggio fresco con del miele. Si
avvicinò un uomo e gli chiese che cosa stesse facendo. Il pastore, non capendo
bene la domanda rispose quas’at,
riferendosi al recipiente che stava utilizzando per mescolare i due ingredienti
che sarebbero serviti per preparare un impasto dolce. Quas’at significa infatti scodella rotonda.
L’uomo pensò invece che si
riferisse a quel miscuglio di sapori e da allora la miscela formaggio e miele,
poi modificato in zucchero, venne chiamata cassata! Qualcun altro fa invece
risalire il termine all’utilizzo della “scodella, ciotola rotonda” per la sua
preparazione. Mi sembra invece inconfutabile la sua origine latina da caseum attraverso caseata.
Non v’è dubbio sul fatto che le
radici della cassata risalgono alla dominazione araba in Sicilia (IX-XI secolo),
tuttavia si lavorava già il formaggio fresco con un dolcificante naturale, il
miele, conosciuto ed elogiato già al tempo dei greci. Gli arabi introdussero la
canna da zucchero, il limone, il cedro, l’arancia amara, il mandarino, la
mandorla.
Si racconta che intorno all’anno
mille, al culmine della dominazione musulmana, nel palazzo dell’Emiro, alla
Kalsa di Palermo, i cuochi di corte si sbizzarrissero ad unire sapori e colori
e che dal miscuglio di vari ingredienti propri della cucina saracena uniti alla
ricotta, che veniva prodotta in Sicilia già dai tempi della Preistoria, sia
venuta fuori la cassata. In principio fu solo un involucro cotto al forno di
pasta frolla ripiena di ricotta, zucchero, agrumi e aromi, e questa versione
essenziale esiste ancora e si chiama, appunto, Cassata al forno. Dopo
gli Arabi arrivarono i Normanni e fecero conoscere la lavorazione della Pasta
reale, o pasta di mandorle, e allora questa pasta sostituì, arricchita di altri
aromi e coloranti naturali, l’involucro di pasta frolla usato fino ad allora, e
la cassata divenne definitivamente una preparazione a freddo.
Gli Spagnoli regalarono alla cucina siciliana cioccolato e
pan di Spagna, mentre l’età Barocca inserì nella preparazione della cassata la
frutta candita, che a questo punto fu completa e pronta per essere tramandata
nella sua ricchezza. Suore dei monasteri e cuochi dei nobili casati sono stati
per molti secoli gli unici depositari dei segreti di questo dolce variopinto.
Fu un dolce così importante per la cultura siciliana dei
secoli passati, che addirittura esisteva un documento, stilato dal Sinodo dei
Vescovi di Mazara, riunito nell’anno 1575, che ne stabiliva la preparazione e
il consumo “indispensabile” come rituale necessario nel giorno di
Pasqua, tanto che un noto proverbio siciliano cita: tintu è cu nun mancia a cassata a matina ri pasqua.
Si può dire che certamente la cassata è il dolce che più
di tutti racchiude in sé il patrimonio gastronomico apportato da dominazioni e
da culture diverse da quella italiana che sono passate da quest’isola nel corso
dei secoli, qualunque civiltà sia passata in Sicilia ha lasciato tracce di sé
in questo dolce meraviglioso e opulento, tipico della pasticceria siciliana.
Ai nostri giorni rimane l’orgoglio delle vetrine dei
pasticceri, è la preparazione che, con le sue decorazioni baroccheggianti, più
di qualsiasi altra rimanda gli echi dell’opulenza della storia passata.
Oggi ve ne sono moltissime
versioni: classica, monoporzione, in bicchiere, destrutturata, ecc. La versione
classica presenta almeno due varianti: l’una con il pan di Spagna coperto dal
marzapane, l’altra con trapezi di pan di Spagna alternati a trapezi di
marzapane nella copertura laterale del recipiente per la preparazione.
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