Si
è svolta il 30 agosto, presso la Sala delle Aquile Verdi del comune di
Palazzolo Acreide, la conferenza dal titolo “I luoghi iblei dei santi” nel
ciclo dei festeggiamenti di Santa Lucia di Mendola.
Ha
introdotto i lavori la prof.ssa Maria Rita Cantone, responsabile dell’Associazione
“Santa Lucia di Mendola” per la valorizzazione del sito, parlando dell’associazione
e della storia del sito archeologico. La zona infatti presenta i più antichi
insediamenti umani, risalenti a circa 7000 anni fa, un tempo le contrade Santa
Lucia di Mendola e Baulì erano un tutt’uno sotto quest’ultimo toponimo.
Ha
poi passato la parola all’avv. Paolo Sandalo, assessore al turismo del comune
di Palazzolo Acreide, per i tradizionali saluti, quindi è toccato al
naturalista Fabio Morreale, presidente dell’associazione “Natura Sicula” che ha
trattato delle figure mistiche che hanno calpestato il territorio ibleo.
Reduce
da una precedente escursione nel territorio centro-settentrionale dell’Italia,
Fabio ha notato che il territorio ibleo rappresenta un’offerta turistica varia
e, in quanto tale, quindi stanca meno rispetto ad altri luoghi.
Vi
possiamo rinvenire siti naturalistici (Pantalica, Cava Grande, Saline di
Siracusa, Saline di Priolo, Vendicari), siti archeologici (Pantalica, Cava Grande,
Vendicari, Siracusa, Solarino, Akrai, ecc.), siti antropologici (tonnare,
mulini, concerie, ecc.), siti geologici (aree calcaree, aree ignee, aree
laviche, ecc.), percorsi (siti) religiosi (Siracusa, il cammino di San Paolo). Io
aggiungerei anche il vasto patrimonio enogastronomico che caratterizza tutta la
Sicilia e quest’area in particolare.
L’area
iblea si caratterizza per la presenza, vera o presunta, permanente o temporanea,
di alcuni santi o personaggi in odore di santità, il percorso culturale è
quindi proceduto in ordine cronologico.
È
dato storico la presenza dell’Apostolo a Siracusa per una sosta di tre giorni
della nave che lo portava fino a Roma, dopo il naufragio di Malta (Atti 28). Un
acquarello su carta del pittore Francesco Paolo Priolo del 1867, conservato
alla Galleria Bellomo di Siracusa, raffigura San Paolo mentre predica alla
grotta dei cordari.
Il
suo culto è forte però in due paesini limitrofi, Solarino e Palazzolo Acreide, di
cui è anche il patrono. Le loro feste vengono citate dall’etnografo palermitano
Giuseppe Pitré e si caratterizzano per la presenza dei serpenti e delle figure
di guaritori dai loro morsi chiamati ciàrauli,
rifacentisi all’episodio del morso della vipera avvenuto nell’isola di Malta.
Solarino vanta una secolare tradizione che vuole San Paolo, durante i 3 giorni
di sosta aretusea, spingersi fino ad un oppidum
per far visita ad una comunità cristiana, ha sete, percuote la terra e sgorga
dell’acqua, poi siccome era tardi cerca rifugio per la notte lì vicino. L’area
archeologica, scavata da Paolo Orsi poco fuori in centro abitato, presenta
resti di insediamenti risalenti al IV secolo e ad epoche successive intorno ad
un pozzo di acqua miracolosa mai secco a memoria d’uomo, ma che ahimè oggi
risulta quasi prosciugato dalle varie captazioni civili delle falde.
Poco vicino una
enorme grotta ipogea profonda circa 4 metri che la tradizione indica come
ricovero del Santo, al suo interno è cresciuto un noce che è il più grande
degli iblei, alto 15 metri con una circonferenza (a petto d’uomo) di 4 metri.
Il
culto della Vergine siracusana è legato alla vista ed è diffuso in tutto il
mondo. Nasce a Siracusa da genitori cristiani che la educano alla loro
religione, rifiutata la proposta di matrimonio di un nobile viene denunciata e
martirizzata (secondo la tradizione) il 13/12/304 d.C.
Errore
comune di turisti e locali è il fatto che il duomo sia dedicato alla Santa
poiché ne custodisce il simulacro argenteo, mentre nella realtà risulta
dedicato alla natività della Madonna.
Tre sono le chiese a
Siracusa dedicate a Lucia:
1ª – in via Cavour
dove sorge un’edicola votiva a ricordo della chiesa che ormai non c’è più
2ª – Santa Lucia fuori
le mura
3ª – la chiesa
della tonnara di Santa Panagia, era dedicata appunto a Santa Lucia
La chiesa della
badia ha invece tutta un’altra storia…
In
via Cuma, 3, vicino piazza Santa Lucia, all’interno di un condomino si trova il
luogo in cui, secondo la tradizione, venne martirizzata Santa Lucia; la colonna
originale è stata spostata alla basilica vicina. La struttura accanto racchiude
il sepolcro della Vergine, unico fra quelli delle catacombe con bassorilievo. Il
culto è antico e databile con la testimonianza dell’iscrizione di Euskia.
Nell’ultimo
secolo la figura di questa martire si è confusa con la coeva vergine aretusea
fino a farle assumere i tratti di una giovane. In realtà questa Santa è una
vedova romana, avanti negli anni, che insieme a Geminiano fugge nell’odierna omonima
localita, dove fa nuovi proseliti. La persecuzione raggiunge anche questi
luoghi e il 13/9/298 d.C. 75 cristiani vengono uccisi, Lucia e Geminiano
riescono a nascondersi per 3 giorni nell’ipogeo, dalle preghiere della santa
scaturisce una fonte; Lucia muore di stenti nell’ipogeo il 16/9/299 mentre Geminiano
appena fuori venne catturato e martirizzato. Anche qui abbiamo una fonte di
acqua miracolosa ed un sito archeologico al momento chiuso per la messa in
sicurezza.
Figura
alquanto leggendaria, si rifugia nel territorio di Sortino, tra la parte bassa
e la chiesa rupestre del crocifisso. Un soldato romano la trova e l’afferra per
le trecce, queste però si staccano e lei riesce a fuggire. Il soldato per
rabbia scaglia a terra le trecce e lì scaturisce una sorgente di acqua. Qui
sorge successivamente la chiesa di Santa Sofia a rassu. Un’altra leggenda la ritiene fatta sgorgare
miracolosamente dalla Santa per dissetare i soldati che la portavano al
martirio: tagliatasi una treccia e gettatala a terra, diede origine ad una
fontana la cui acqua esce stranamente intrecciata.
Fino
alla metà del ‘900 vi si svolgeva un rito per la guarigione delle persone
gravemente malate: Santa Suffia,
sciugghitivi ‘a trizza! (santa Sofia, scioglietevi la treccia!) e se una
candela immersa nelle acque non si spegneva, per l’acqua improvvisamente
chetatasi, il morituro sarebbe guarito.
Poco distante dalla
fonte miracolosa venne costruita la chiesa Santa
Suffia Arrassu, ovvero “Santa Sofia di Fuori”, addossata ad una rupe ove si
apre una grotta che fu, secondo alcuni prigione, secondo altri luogo di
martirio della Santa.
Altra grotta-chiesa
legata alla Santa si trova tra Cassaro e Ferla; due chiese le sono dedicate, a
Sortino ed a Ferla. La Basilica di San Paolo a Palazzolo, prima del terremoto
del 1693 era dedicata a questa Santa, venne concessa dalla confraternita a
condizione che fosse mantenuto un altare dedicato alla Santa, altare ancora
presente nella navata di destra.
Corrado
Confalonieri si trovava a caccia con una compagnia di amici e familiari. Quel
giorno la caccia non diede buon esito e Corrado ordinò di appiccare il fuoco
alle sterpaglie per stanare la cacciagione ma, complice il forte vento, il
fuoco in un attimo bruciò tutto ciò che incontrava, tra cui boschi, case e
capanne. Spaventati ed impotenti di fronte a questo evento, Corrado e i suoi
scappano verso casa, decisi a non far trapelare la verità. Non appena la
notizia si propagò in città, si credette che l’incendio fosse stato appiccato
dai Guelfi per colpire l’attuale governanza ghibellina e subito si scatenò la
caccia al responsabile, che venne individuato in un povero contadino. La
notizia della condanna colpì l’animo di Corrado, che non riusciva a darsi pace
per quello che era successo a causa sua. Non esitò quindi ad interrompere il
corteo punitivo ed a chiedere udienza al Signore di Piacenza, al quale dichiarò
la propria colpevolezza, subendo la pesantissima pena della confisca di tutti i
terreni per risarcire il danno fatto (in quanto nobile, evitò le punizioni
corporali).
Questo
evento segnò profondamente la vita di Corrado, che negli anni successivi si
avvicinò sempre più alla fede; in accordo con la moglie Giovannina, decisero
entrambi di votarsi alla religione: lui francescano terziario, lei clarissa.
Nel progredire nel suo stato religioso prese la decisione di lasciare Piacenza
e tutte le cose materiali per dedicarsi alla propria anima ed alle cose eterne.
Nel
suo lungo peregrinare, eremita itinerante secondo la tradizione francescana,
Corrado attraversò l’Italia verso sud, pregando sulle tombe degli Apostoli a
Roma, finché non giunse nella sua meta definitiva, Noto, intorno al 1340. Qui
legò una stretta amicizia con Guglielmo Buccheri che le vicende della vita
portarono a fare una scelta d’eremitaggio simile a Corrado. Buccheri ospitò
Corrado nelle cosiddette Celle, un quartiere isolato nei pressi della Chiesa
del Crocifisso, sul monte Alvèria (Noto antica), dove vi rimase per circa due
anni, per poi ricominciare le sue peregrinazioni quando il suo eremitaggio fu
compromesso dalle sempre più numerose genti che chiedono a lui preghiere e
consigli.
decide quindi si
spostarsi in quella che verrà poi definita la “valle dei miracoli” erosa dal
fiume San Corrado, affluente dell’Asinara. Morì il 18/2/1351, sul posto verrà
poi eretta la chiesa di San Corrado Fuori le mura.
Il
Beato Guglielmo nasce a Noto (SR) nel 1309, dalla nobile famiglia Buccheri, da
giovanissimo entrò a far parte della corte di Re Federico II col ruolo di
paggio, per molti anni occupò il ruolo di uno degli scudieri del monarca. Nel
1337 durante una battuta di caccia nei boschi alle falde dell’Etna un grosso
cinghiale stava aggredendo il Sovrano, allorché il giovane paggio Guglielmo si
gettò armato sulla bestia, salvando la vita al Re, ma riducendosi in fin di
vita per un morso ricevuto dal cinghiale. Trasportato a Catania, un consiglio
di medici prontamente convocato dal Re, non può far altro che costatare la
gravità della ferita e concludere che allo sfortunato scudiero non restano che
poche ore di vita.
Mentre
Guglielmo è in agonia in sogno gli appare la Martire Sant’Agata che gli dice
queste parole: “Sorgi Guglielmo, Fratello mio, abbandona la corte e va nella
solitudine, dove Dio parlerà al tuo cuore”. L’indomani, tra lo stupore generale
della corte, Guglielmo si leva dal letto perfettamente guarito. Portatosi al
cospetto del suo Sovrano, che lo accoglie con gioia, gli parlò della visione
avuta nella notte, e del suo desiderio di darsi alla vita eremitica. Il Re
riconoscente verso il suo scudiero tenta di trattenerlo a se, ma vista l’irremovibilità
di Guglielmo, lo convince ad accettare almeno un cavallo e una borsa di denaro.
Partito
da Catania per rientrare nella natia Noto, giunto in località chiamata “primosole”,
incontra un mendicante, con cui scambia gli abiti e gli dona pure il cavallo e
la borsa di denaro avuta dal Re.
Rientrato
a Noto occupa un eremitorio detto “Le Celle” attiguo alla chiesetta di Santa
Maria del Crocefisso, dove si dedica alla preghiera e al servizio dei poveri,
tra lo stupore dei suoi concittadini, che lo ricordavano bello e potente al
servizio del Re e ora lo vedono umile e dimesso eremita nel saio di terziario
Francescano. Nel 1343 accolse nel suo eremitorio delle “celle” un altro
terziario Francescano, il piacentino Corrado Confalonieri, oggi Santo anche lui
e patrono della città di Noto. Nel 1340 dopo diversi anni di fraterna
convivenza, i due anacoreti decidono di separarsi, pare perché continuamente
molestati da un nipote di Guglielmo, cotal Pietro Buccheri, che non sopportava
che lo zio avesse abbandonato la corte reale e si fosse dato alla vita di
misero eremita. Corrado si ritirerà nell’impervia contrada dei “pizzoni” sempre
nei dintorni di Noto, dove passerà al cielo il 19 febbraio 1351. Guglielmo,
pare per ispirazione della Vergine Maria, si porterà a Scicli, dove vivrà in
una misera casupola adiacente alla chiesetta di Santa Maria della Pietà,
esistente fuori dell’abitato. La sua lunga vita (vivrà 95 anni) passerà tra il
servizio alla suddetta chiesa in qualità di sagrestano, e la questua tra i
benestanti del paese, a cui chiedeva cibarie da donare ai poveri. Si racconta
che per mettere in atto il consiglio evangelico di fare la carità in modo che
la “Sinistra non sappia ciò che fa la tua destra”, egli, quando sapeva un caso
di una famiglia bisognosa, lasciasse gli aiuti dietro la porta di notte,
bussava e correva a nascondersi in modo che nessuno potesse sapere che era lui
a lasciare quei doni.
Passò
alla gloria del cielo il 4 aprile 1404, venerdì Santo, allorché per salutare la
sua anima benedetta, nonostante il divieto imposto dalla liturgia del venerdì
Santo, le campane delle chiese di Scicli suonarono da sole a festa. La
popolazione di Scicli lo invoca nel mese di aprile, allorché a causa della
siccità ingialliscono i campi, per ottenere la pioggia. Nel passato veniva
invocato per ottenere la guarigione dall’ernia e ancor più per guarire dal
morbo durante le pestilenze.
Nella
cava di San Giorgio si trova una chiesetta
bizantina di Santo Pietro, trasformata nel tempo in ovile con un poderoso muro
di cinta munito di para lupi. Dopo un primo rilievo di Orsi, che vi rinvenì una scritta in cui
riuscì a leggere il nome Pietro, figura religiosa (ascetica) locale lì sepolto, venne dal Venditti ricondotta ad una tipologia più
usuale a pianta basilicale a tre navate, l’interno della grotta sembra
riproporsi come una sorta di unicum ascrivibile, però, alle chiese rupestri di
ambiente siriaco-palestinese caratterizzate da uno spazio absidato e orientato
preceduto da una sorta di nartece. l’abside è elevata su due gradini ed
originariamente era isolata da una iconostasi lignea (di cui rimangono tracce a
livello pavimentale), ed accoglie al centro un altare cubico mentre, contro la
parete orientale, si pone una cattedra, ricavata nella roccia, con braccioli,
schienale e suppedaneo. In due ambienti periferici si riconoscono due ipogei
sepolcrali, mentre altre tombe terragne si aprono nel pavimento della chiesa e
due tombe ad arcosolio si aprono lungo la parete occidentale del riconosciuto
nartece.
La presenza
dell’elemento greco è, invece, attestata da altre incisioni di tipo
devozionale, poste presso l’ingresso della grotta, e da una interessante
crocetta greca incisa presso l’epigrafe latina; queste testimonianze medioevali
per lungo tempo sono rimaste coperte da vari strati di intonaco, sui quali vi
sono tracce molto guaste di affresco. Al giorno d’oggi è riconoscibile solo il
volto della Vergine di una Annunciazione, collocata a destra dell’ingresso,
inquadrato dalla didascalia MAT(ER) D(OMI)NI, mentre in una camera scavata
sulla destra è riconoscibile la figura di San Marco.
Fra Giuseppe (Santoro)
Chiude
la parata di santi Giuseppe Santoro da Buscemi (1891-1975); l’unica foto è
stata presa dalla lapide (è sepolto al cimitero di Buscemi), non si faceva
fotografare da nessuno.
Non
è un santo, ma una figura ascetica particolare, dal pessimo carattere e
maleodorante, si allontanò da Buscemi per pregare, scolpiva le grotte e le
dipingeva con immagini religiose spesso raffiguranti la Madonna a lui tanto
cara.
Al
termine è stato proiettato il filmato fatto dal giornalista Salvo Fruciano l’anno
scorso sulla caduta del romitorio di Mendola, che parla anche dei templi ferali
e dei Santoni a Palazzolo.
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