martedì 28 agosto 2012

La festa del grano


Domenica 19 agosto 2012 presso l’Azienda Agricola Calleri Giorgio in Contrada Granieri (Noto) si è svolta la festa del grano.
In un'atmosfera particolare, attraverso i ricordi dei più anziani, è stata riproposta la ricostruzione storica dell'antica trebbiatura e pesatura del grano, con una girandola di cavalli, ricreando scene di vita agreste tipiche degli anni Cinquanta, epoca in cui la vita e la cultura erano indissolubilmente legate alla terra e ai suoi prodotti e tra questi primeggiava il grano, da cui il pane, fonte di sostentamento per eccellenza e quindi simbolo di vita.
Dopo la mietitura avvenuta il 9 giugno scorso, questa volta si è svolta la fase della trebbiatura del grano.
La trebbiatura consisteva in un complesso di operazioni che coinvolgevano, uomini, animali e lo stesso ambiente, scopo fondamentale era quello di separare i chicchi di grano dalla spighe.
Dopo la raccolta le spighe venivano trasportate e sparse nell'aia posta in un pianoro ventoso, dove coppie di muli battevano le spighe con gli zoccoli: “cacciata”. 
Già nell'antichità per trebbiare delle grandi quantità di grano si dovette far ricorso, così come per l'aratura, alla forza motrice animale. Sui covoni ammucchiati nell'aia venivano fatti girare un gran numero di animali e il calpestio dei loro zoccoli faceva uscire i chicchi dalle spighe, oppure una coppia di buoi trascinava sopra le spighe sparse circolarmente nell'aia una pietra di grandi dimensioni percorsa da scanalature nella faccia inferiore, oppure una pesante tavola di legno, costruita di grosse assi e munita nella parte inferiore di guide di ferro dentate e sporgenti. Per fare questo lavoro bisognava aspettare una giornata in cui tirava vento.
Le fasi erano:
  • Preparazione dell’aia (abbunari l'aria)
  • trebbiatura (pisatura) con i canti dell’aia
  • spagliatura con  il vento
  • vagliatura
  • insaccatura
  • raccolta della paglia
Un tempo si trebbiava battendo il grano al banco, cioè percuotendolo con un bastone sopra una panca. Un operaio poteva in un giorno battere da 80 a 100 Kg di grano. Altro sistema primitivo era di battere i covoni allineati sull'aia col correggiato, cioè con due bastoni legati fra loro da una correggia di cuoio. Con questo sistema si trebbiavano da 100 a 150 Kg in 10 ore.
Un altro metodo è la trebbiatura a piede di animali. Si preparava l'aia tagliando sopra le radici l'erba senza smuovere la terra e bruciarla. La mattina dopo, prima che arrivasse il sole, s'innaffiava leggermente con un mazzetto di felci; si scioglieva dello sterco bovino nell'acqua fino ad avere una brodaglia verde semiliquida da cospargere sul fondo dell'aia, su di esso si spargeva pula che si cementava ai raggi del sole.
I covoni esterni si spargevano con la spiga verso l'interno dell'aia mentre al centro si buttavano a casaccio.
Ai buoi era attaccata la “pietra dell'aia”, che doveva da sola col suo peso frantumare l'ammasso di culmi e sgranare le spighe. I buoi camminavano in cerchio sui covoni frantumandoli. Periodicamente si invertiva il loro senso di rotazione, intanto si rimescolavano i culmi coi tridenti per rendere uniforme la triturazione.
Dopo 4-5 ore di giri si rivoltava l'aia in modo che anche i culmi più in basso fossero triturati.
Finito di triturare si ammonticchiava tutto in un angolo dell'aia, secondo la direzione del vento. Si aspettava quindi che si alzasse il vento.
Le componenti che si ottenevano dalla trebbiatura erano:
  • Paglia grossolana
  • Paglia fine
  • Pula (e barbe)
  • Grani
La pula è costituita da glume (il rivestimento della cariosside), reste e minuti frammenti di spighe.
Per separare le varie componenti si procedeva come segue:
  1. Si alzava il tutto col tridente e lo si libera controvento. Le parti più leggere (paglia) venivano spinte lontano a formare un altro cumulo (se il vento era troppo forte occorreva coprire i cumuli con i lenzuoli).
  2. Poi si faceva la stessa cosa con la pala. Questa volta era la pula ad essere separata.
  3. Si passava poi il grano al vaglio. Il vaglio era un setaccio tenuto orizzontale; si toglievano infine con una scopetta i chicchi ancora nella pula.
Resa: almeno 4 volte il peso dei semi.
La paglia serviva da foraggio mentre la pula per polli e asini, ma solo se senza reste, altrimenti poteva servire solo da lettiera. Per raccogliere la paglie veniva utilizzata una rete a maglie grosse fatta di corde, spesso si utilizzava a liama (Ampelodesmos mauritanicus) durante l'inverno per intrecciare tutto il cordame che serviva poi ai vari lavori.
Il grano dopo essere stato spagliato con i tridenti e vagliato con i crivi  veniva suddiviso sull'aia, il contadino su venti salme prodotte ne portava  a casa sua tre o quattro, e in massima parte di qualità inferiore.
Suddivise le parti si procedeva infine all'insaccatura dei chicchi di grano pronti per essere portati, nei granai dei latifondisti ovvero conservati nei cannizzi familiari, cilindrici contenitori realizzati con canne intrecciate dove si conservava il grano necessario al fabbisogno della famiglia.
La fase di conservazione in sacchi di grossolana tela di lino avveniva previa raccolta e attraverso un contenitore in ferro che ne permetteva la contempo la misurazione: il tumminu. Si tratta di un’antica misura di capacità usata per gli aridi come il frumento e le fave, era questa solitamente la forma di pagamento dei contadini: il tumminu, sedicesima parte della sarma, corrispondeva a circa 17,5 kg (la misura poteva variare da una parte all’altra della Sicilia) ed era diviso in 4 munnia e in 16 cuoppi, mentre il iaruozzu era di poco inferiore al cuoppu ovvero attorno al kg.
Poco usata invece la visazza, misura intermedia composta da 4 tummina e corrispondente ad ¼ di sarma.
Il grano poi, al momento e nella quantità in cui serviva, veniva prelevato dal cannizzu e macinato in casa con una piccola macina a mano detta mulineddu di petri oppure veniva portato al mulino dove il mugnaio provvedeva a macinarlo: ma questa è tutta un’altra storia!
Magari ne parleremo un'altra volta...

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